Storia e dimensioni della Finanza Islamica

La relazione tra la diffusione della religione musulmana e la nascita di istituti finanziari islamici è ovvia e diretta. L’Islamic finance nasce infatti dall’esigenza delle comunità musulmane di applicare anche in campo economico gli stessi principi che regolano la loro vita sociale.

La raccolta del risparmio tra i fedeli in vista del pellegrinaggio alla Mecca, portò alla creazione nel 1963 in Malaysia della fondazione “Muslim Pilgrim’s Saving Corporation” 1 che rappresenta la prima forma di raccolta organizzata del risparmio orientata religiosamente.

Nel 1975, viene fondata la Dubai Islamic Bank, che risulta essere la prima banca islamica nazionale ad aver assunto operatività ed indipendenza a livello mondiale.

La Dubai Islamic Bank, contrariamente alle aspettative, riscuote un successo tale che ancora oggi è tra i più potenti operatori finanziari mondiali e la sua stabilità economica è confermata dall’attribuzione (Novembre 2006) da parte della società di rating Moody’s del giudizio “A1/Prime 1” come foreign currency issuer.

Nello stesso periodo si crea l’Islamic Development Bank (IDB) primo effettivo istituto di credito che si attesta l’accresciuta presa di coscienza del movimento finanziario islamico. La IDB nasce da una Dichiarazione di Intenti degli stati appartenenti alla Organization of the Islamic Conference2 l’International Development Bank si è propone come il primo istituto finanziario internazionale
di tipo islamico, avente come fine lo sviluppo economico dei paesi associati nel rispetto della Legge coranica (la Shariah). Attualmente i paesi aderenti sono 56, ognuno partecipante con una diversa quota al capitale complessivo.

Da quella data, il mondo finanaziario ha registrato un numero sempre maggiore di istituzioni islamiche, svolgenti attività aventi principi economici di base differenti da quelli occidentali maturati da una lunga tradizione. Le tappe più importanti in tale percorso storico possono essere identificate nella creazione della Islamic Finance House prima istituzione islamica in occidente, avvenuta in Lussemburgo nel 1978 e nell’emanazione di leggi bancarie in Iran (1983) ed in Pakistan (1984)
che ammettono quale unico sistema di intermediazione finanziaria quello fondato sui dettami della Legge islamica.

I principi economici di queste nuove istituzioni islamiche sono essenzialmente basati sullo stretto divieto coranico di “fare soldi dai soldi” vale a dire richiedere un interesse (riba) come remunerazione del prestito di capitali, essendo l’interesse considerato sinonimo di usura. Questa caratteristica – forse la più nota del sistema bancario islamico, ma non l’unica – proviene direttamente dal Corano (sura 2,
versetto 275) dove testualmente vieta la riba sul denaro prestato. Il divieto si riferisce non solo all’usura, cioè ad un tasso d’interesse eccessivo, ma a qualsiasi corresponsione d’interessi su mutui e depositi. Secondo la shari’ah – la legge islamica – soltanto il lavoro dell’uomo può giustificare l’arricchimento, sia sul piano etico che giuridico. Non è lecito percepire alcun interesse, neanche minimo, perché esso rappresenta un guadagno del creditore collegato al semplice decorrere del
tempo. La condanna dell’usura deriva dal fatto che la moneta è considerata unità di misura e mezzo di pagamento. Non avendo alcun valore intrinseco, non può generare altra moneta tramite il pagamento d’interessi. Il lavoro umano, lo spirito di iniziativa e il rischio insito in un’attività produttiva, sono più importanti del denaro usato per finanziarli. I giuristi musulmani considerano la moneta come
capitale potenziale, piuttosto che come capitale in senso stretto, nel senso che essa diventa capitale solo quando viene investita in un’attività economica. Di conseguenza, il denaro anticipato sotto forma di prestito è considerato un debito dell’impresa e non un capitale. In quanto tale, non dà diritto ad alcun profitto. Il suo potere d’acquisto non può venire usato per creare direttamente maggiore
potere d’acquisto, ma deve passare attraverso una fase intermedia che la compravendita di beni e servizi. Partendo da questa visione della moneta, la finanza islamica si fonda sull’idea che prestatore ed utilizzatore di moneta devono spartire in ugual misura il rischio d’impresa, affinché tutta la comunità, e non soltanto una categoria di operatori economici, ne tragga beneficio. Ciò vale per
fabbriche, aziende agricole, società di servizi o semplici operazioni commerciali.
Tradotto in termini bancari, significa che tutti i soggetti coinvolti – il depositante, la banca, il debitore – devono dividere i rischi e i guadagni derivanti dal finanziamento di una certa attività. É il principio del profit-loss sharing, conosciuto ma scarsamente applicato nel sistema bancario occidentale, che invece obbliga il debitore a restituire l’ammontare del prestito ricevuto, insieme all’interesse
imposto, indipendentemente dal successo o dal fallimento della sua impresa.
Nell’ambito della finanza islamica si distingue innanzitutto l’Islamic banking, che per consistenza e prospettive è sicuramente il fenomeno di maggiore interesse.
Non è proibita – invece – dalla Legge islamica la presenza di un intermediario tra erogatori ed utilizzatori di mezzi economici, che anzi riconosce l’utilità sociale del servizio svolto da un tale tipo di istituzione. Anche se in maniera meno marcata, un’altro ramo importante è quello delle assicurazioni che ha sviluppato anch’esso prodotti conformi alla legge coranica (takaful). In questo ramo gli istituti specializzati offrono prodotti previdenziali la cui differenza tra i prodotti assicurativi islamici e quelli convenzionali è spesso minima, in quanto la legge islamica riconosce i principi cooperativi e mutualistici che sono alla base dei sistemi anche essi conformi all’Islam. Per completare lo scenario vanno infine menzionati gli intermediari finanziari diversi da quelli bancari e assicurativi,
istituzioni specializzate nella creazione e nella commercializzazione di strumenti finanziari negoziabili.
Per avere un’idea compiuta del fenomeno è opportuno calibrare la dimensione dei potenziali usufruitori di prodotti conformi al Corano. I musulmani nel mondo sono oltre 1 miliardo e 300 milioni, il che fa dell’Islam la seconda religione del pianeta. L’Islam non è una religione ristretta ai soli paesi arabi; le area di maggiore concentrazione sono, oltre al Medio Oriente, il Sud-Est asiatico ed il Nord-Africa.

Ad oggi il piú grande paese islamico del mondo è l’Indonesia, con i suoi 165 milioni di abitanti, di cui circa il 90% musulmani. In Europa la comunità musulmana conta circa 15 milioni di credenti ed è in costante crescita, con concentrazioni consistenti in Francia, Germania ed Inghilterra. In questo contesto, i centri finanziari all’avanguardia sono quelli in cui la presenza di una attiva comunità musulmana si accompagna ad un fertile tessuto socioeconomico-politico. In Europa e negli Stati Uniti la secolare tradizione finanziaria ha favorito la comprensione del fenomeno e la nascita dei primi istituti. In altri paesi, in cui la presenza musulmana risulta anche piú marcata, a volte integralista,
l’assenza di questo ambiente favorevole sembra non aver permesso sviluppi di particolare interesse. La Dubai Islamic Bank anni nasce in un paese in cui i flussi finanziari derivanti dal mercato del petrolio risultano imponenti e continui ed il loro utilizzo attraverso i dettami islamici ha permesso al paese di acquisire importanza a livello mondiale ben superiore a quella derivante dalla sua piccola
superfice. Discorso analogo va fatto per il Bahrain. Altro centro di interesse per la finanza islamica è la Malaysia, oggi punto di riferimento del mercato del “sukuk” ossia le obbligazioni islamiche legate ad investimenti concreti e mai – nel rispetto della Sharia – destinate a scopi puramente speculativi. La crescita di questo strumento finanziario – fortemente influenzata anche da congiunture mondiali
favorevoli – ha portato il mercato malesiano a primeggiare nel mondo concorrendo con quello di Dubai per il ruolo di leader. La Malesia (o Malaysia) è un paese multirazziale del Sud-Est asiatico a maggioranza musulmana, con un passato di dominazione inglese che ha lasciato un’eredità culturale importante che ancora oggi inflkuenza i dettami musulmani creando un interpretazione – come quella
fornita da Badawi – se non unica certamente molto particolare dell’Islam.

Il requisito della religione – pur importantissimo – non risulta determinante e quindi sinonimo di sviluppo della finanza islamica; la relazione tra la diffusione della religione musulmana e lo sviluppo della finanza islamica, non sono così dirette come si sarebbe portati a credere. Quello che si sta verificando nei paesi dove l’integrazione tra il sistema convenzionale e quello islamico è maggiore (e qui il Sud-est asiatico rappresenta uno dei migliori punti di osservazione) è che i prodotti islamici sembrano poter essere appetibili anche da parte di una clientela che non è musulmana Un esempio di questo genere è fornito dal colosso inglese HSBC, il quale ha iniziato ad offrire in Malaysia prodotti bancari per l’acquisto di abitazioni sottostanti alla Legge islamica: piú della metà della clientela è risultata essere di religione non musulmana.

In un mercato liberista si verifica un fenomeno concorrenziale a livello di singoli prodotti bancari, nel quale la scelta da parte della clientela può basarsi non su fondamenti di natura religiosa, ma su pure convenienze economiche.